di Simone Valeri

 

All’inizio del XIX secolo Parigi era considerata capitale universale della cultura e dello spettacolo. Decenni estremamente fecondi, durante i quali le profonde trasformazioni sociali e politiche irrompono anche nel quadro delle arti. Anni di profondi cambiamenti sociali in cui l’affermazione della classe borghese consente la nascita di nuove esigenze relative alle modalità di fruizione culturale, e nello specifico dell’evento teatrale.

Per parlare proprio della specificità del grand opéra, occorre partire dalle ragione estetiche, sociologiche, economiche, istituzionali, che ne sono all’origine.

Siamo negli anni in cui la tragedie lyrique rappresenta, in Francia, il punto di riferimento dell’opera in un’Europa dominata dal repertorio operistico italiano.

Una situazione, quella francese, quindi in controtendenza in quello che avviene nel Vecchio continente, dove l’uso della lingua francese e il ricorso al modello della tragedia letteraria rendono l’esportabilità della tragedie lyrique complicato e debolmente influente sul mercato.

In questo contesto avviene l’avvento del grand opéra, che dopo il 1830 inizia a far sentire la sua influenza su tutti i più importanti operisti europei, da Donizetti a Verdi a Wagner e alle “scuole nazionali”.

Tanto ambigua è la definizione di grand opéra, quanto controversa è la sua datazione. Nata insieme ai titoli che intendeva contraddistinguere, e non quindi assegnata a posteriori, tale categoria è sempre stata più convenientemente intesa come etichetta cronologica appartenente ad una serie di produzioni legate strettamente alla sede dell’Opéra parigina, la Salle Le Peletier che tenne a battesimo decine di produzioni tra il 1821 e il 1873, anno della sua distruzione (1).

Per buona parte della storiografia il dramma musicale francese dell’Ottocento può essere considerato un’emanazione delle caratteristiche della società, dei sui valori spirituali e materiali, nonché una sintesi del dibattito culturale e intellettuale dell’epoca. Opere cardine della transizione tra gli anni della Restaurazione e il regno di Luigi Filippo sono probabilmente La Muette de Portici di Daniel-Françoise Esprit Auber su libretto di Eugène Scribe e Guillaume Tell di Gioachino Rossini su libretto di Étienne de Jouy e Hippolyte-Louis-Florent Bis, rappresentate entrambe all’Opéra di Parigi tra 1828 e 1829.

Il grand opéra si consolida prima nella pratica che nell’elaborazione teorica. Tale forma consiste nell’innesto di motivi romantici all’interno della struttura canonica della tragédie-lyrique, non solo per conveniente e spontanea adesione agli stessi, ma per le possibilità di sviluppo che essi assicurano: intrecci e tematiche che si prestano a grandiosi allestimenti scenici, articolate azioni coreografiche e imponenti scene di massa. Di questa forma dispendiosa e discussa, che segnerà i decenni centrali dell’Ottocento, Eugène Scribe (1791-1861) può dirsi il librettista più influente. Le sue collaborazioni con i grandi compositori dell’epoca, specialmente quella con Giacomo Meyerbeer, resero il grand opéra un prodotto di enorme successo e di sicura esportabilità.

Proprio a Scribe, autore versatile e brillante, capace di riassumere le diverse direzioni del Romanticismo francese all’interno di una sterminata produzione per il teatro, parlato e musicale viene fatta risalire la nascita del grand opéra, attraverso il debutto di La Muette de Portici del 1828 (Auber – Scribe).

A proposito di questo, risultano estremamente interessanti le parole di Louis-Désiré Véron, all’epoca direttore dell’Opéra di Parigi, che individuò in Scribe l’unico poeta drammatico capace di padroneggiare alla perfezione i meccanismi del melodramma: la sua struttura in cinque atti (ciascuno con una propria identità drammaturgica), l’espressione di passioni e moti dell’animo, l’importanza del contesto storico e dell’aspetto visivo, l’impiego del coro come personaggio collettivo.

“Scribe n’était pas musicien; il ne jouait d’aucun instrument et n’a certainement jamais reçu une leçon de chant. Malgré cela, on doit voir en lui un grand créateur musical. Il a, en effet, possédé le premier, et pour ainsi dire de façon unique, le genie des situations dramatiques qui ouvrent de nouvelles voies à la musique tout en recevant de celle-ci toute leur valeur” (2).

Se dunque a La Muette de Portici si fa risalire l’esordio della nuova forma operistica, Robert le Diable (1831) ne stabilisce la definitiva affermazione, forte di una molteplicità di fattori concomitanti, tra i quali le innovazioni scenotecniche, la presenza a Parigi di musicisti come Rossini e Meyerbeer, il nuovo modello di gestione dell’impresa teatrale.

Osservando i dati raccolti da Albert Soubies3 sugli spettacoli andati in scena all’Opéra e maggiormente replicati tra il 1828 e il 1892, risulta evidente il successo del grand opéra (nello specifico, il successo delle opere firmate dal sopracitato Scribe). Un lungo elenco di titoli, nati dalla sempre feconda e fruttuosa collaborazione tra librettista e compositore. Rappresentazioni fortunatissime, dove troneggiano i nomi di Meyerbeer, Adam, Hérold, Boïeldieu, Thomas e Gounod.

Il grand opéra è sintesi di diversi stili, francese, italiano e tedesco, aspetto che da un lato riflette una natura profondamente radicata nel proprio tempo in cui esiste, dall’altro ne giustifica la fruttuosa diffusione. Una forma che non solo è stata in grado di assegnare un differente ruolo all’aspetto visivo, ma che è stata capace di superare quello specifico della parola, che si è imposta come mescolanza di stili, lasciandosi apprezzare e imponendosi come teatro ideale, sia per chi aveva disprezzato il mèlodrame à grand spectacle, intendendolo solo come diversivo per la piccola borghesia, sia per chi non era mai stato rapito dall’interesse per l’opéra comique.

Così, nello specifico le caratteristiche che identificano il grand opéra romantico:

  • La sua essenza intimamente cosmopolita, capace di andare oltre il carattere nazionale tipico della tragedie lyrique e in grado quindi di dialogare su scala internazionale.
  • Lo spostarsi della centralità del testo alla centralità della musica, i libretti vanno gradualmente perdendo interesse per la loro identità letteraria e si affermano come strumenti a servizio del compositore.
  • L’importanza dell’allestimento scenico, dell’impatto visivo, degli effetti scenotecnici sul pubblico.
  • Le scene di massa, il coordinamento ritmico, il movimento che diviene visibile sulla scena.
  • La mescolanza di tragico e comico, di stile alto e basso.
  • L’uso del coro. Contrariamente di quanto accadeva nella tragedie lyrique, dove il coro aveva sempre avuto un ruolo da personaggio collettivo, in linea con la tragedia antica, nel grand opéra il coro acquista un’identità propria, masse umane che intervengono nell’azione del protagonista e prendono attivamente parte in quello che avviene in scena.

Alcuni dei più celebri esempi di grand opéra:

Daniel François Esprit Auber (1782 – 1871)
La Muette de Portici (1828)

Giacomo Meyerbeer (1791 – 1864)
Robert le diable (1831); Les Huguenots (1836); Le Prophète (1849); L’Africaine (1865)

Gioachino Rossini (1792-1868)
Guillaume Tell (1804); Le siège de Corinthe (1835);

Gaetano Donizetti (1797-1848)
La Favorite (1840)

Giuseppe Verdi (1813-1901)
Les vêpres siciliennes (1855); Don Carlos (1867); Aida (1871)

Bibliografia di riferimento

AA.VV., Storia dell’opera, diretta da Alberto Basso, 6 voll., Torino, UTET, 1977

AA.VV., Storia dell’opera, (a cura di Gerald Charlton), 2 voll., Milano, Oxford Feltrinelli, 1991

AA.VV., Musica in scena, 12 voll., Torino, EDT, 1997

Baroni Mario, Fubini Enrico, Petazzi Paolo, Santi Piero, Vinay Gianfranco, Storia della musica, Torino, Einaudi, 1988.

Bara Olivier, Yon Jean Claude, Eugène Scribe: Un maître de la scène théâtrale et lyrique au XIXᵉ siècle, Rennes, Press Universitaires de Rennes, 2016

Dapino Cesare (a cura di), Il Teatro Italiano V. Il libretto del melodramma dell’Ottocento, 2 voll., Torino, Einaudi, 1983

Della Seta Fabrizio, Italia e Francia nell’Ottocento, in Storia della Musica, 12 voll., Torino, EDT, 2018

Hanslick Eduard, Der modern Oper, t.III: Aus dem Operleben der Gegenwart, Berlin, Allgemeiner Verein für deutsche Litteratur, 1889 (traduction de Jean-Claude Yon)

Meldolesi Claudio, Taviani Ferdinando, Teatro e spettacolo nel primo Ottocento, Bari, Laterza, 2003

Orlando Francesco, Le costanti e le varianti: studi di letteratura francese e di teatro musicale, Bologna, Il Mulino, 1983

Prévost Paul, Le Théâtre lyrique en France au XIXe siècle, Metz, Éditions Serpenoise, 1995

Scribe Eugène, Auber François Esprit, Correspondance d’Eugène Scribe et de Daniel-Françoise-Esprit Auber, Herbert Schneider (a cura di), Bruxelles, Mardaga, 1998

Sgorbati Bosi Francesca, Guida pettegola al teatro francese del Settecento, Palermo, Sellerio, 2014

Soubies Albert, Soixante-sept ans à l’Opéra en une page. Tableau des pièces représentées pour la première fois à l’Opéra du 1er Janvier 1826 au 31 décembre 1892, Paris, Fischbacher, 1893

Véron Louis Désiré, Mémoires d’un bourgeois de Paris comprenant la fin de l’Empire, la Restauration, la Monarchie de Juillet, et la République jusqu’au rétablissement de l’Empire, 3 voll., Paris, Librairie nouvelle, 1856

 

Contributi critici

Salvadori Gemma, Eugène Scribe librettista-industriale. Forme, temi e scrittura di un autentico uomo di teatro negli anni del grand opéra, progetto di dottorato in Storia delle Arti e dello Spettacolo (Università di Firenze)

Contributi su rivista

Charlton David, Sur la nature du “grand opéra in «L’Avant-Scène Opéra», numero speciale dedicato a Les Huguenots di Meyerbeer, 134, 1990

Pendle Karin, Eugène Scribe and French Opera of the Nineteenth Century, in «The Musical Quarterly», LVII, 4, 1971

 

Note

1 L’edificio di Rue Le Peletier fu sede di tutti i principali allestimenti raccolti sotto la dicitura grand opéra; imponente, esteso e all’avanguardia, lo stabile, opera di François Debret, era in grado di assecondare tutte le necessità che contraddistinguevano la forma. Esponente della nuova borghesia commerciale, Louis Véron fu il primo direttore dell’Opéra, in quegli anni, a legare il suo nome alla fortuna internazionale del grand opéra. Il successo, ma soprattutto l’interesse per la messinscena di questo tipo di titoli sembra assecondare la storia del teatro, e dunque esaurirsi quasi in concomitanza della sua distruzione a causa di un incendio.
2 Eduard Hanslick, Der modern Oper, t.III: Aus dem Operleben der Gegenwart, Berlin, Allgemeiner Verein für deutsche Litteratur, 1889, p. 182-183 (traduzione dal tedesco di Jean-Claude Yon).
3 Cfr. Albert Soubies, Soixante-sept ans à l’Opéra en une page. Tableau des pièces représentées pour la première fois à l’Opéra du 1er Janvier 1826 au 31 décembre 1892, Paris, Fischbacher, 1893.